Fra sacro e profano: la sensualità femminile dietro le “pettole cresciute”

NOCI – La pasticceria è donna. Benché oggigiorno i più grandi pasticceri siano uomini, è stata la donna a esplorare quest’arte culinaria, diventando nell’immaginario comune la regina di un paradiso che profuma di cacao e vaniglia. Non è un caso che una delle storiche aziende dolciarie italiane, la Perugina, sia stata fondata da una donna incredibilmente audace, la cui storia di vita suscita ancor oggi ammirazione: Luisa Spagnoli.
L’asserzione incipitaria, però, è valida anche in un altro senso. Quale che sia il sesso di chi si confronta con la pasticceria, per perfezione, bontà e bellezza sono gli stessi dolci a essere associati alla donna, quasi che, personificandosi, acquisiscano quei connotati tipicamente femminili che li rendono irresistibili. I mâitre “giocano” con paste e pasticcini come se stessero carezzando una donna: attraverso l’arte dolciaria si può dare forma alle molteplici sfumature della personalità femminile, dalla passionalità alla grazia.

Nascono così dessert marcatamente erotici, che non celano punto il richiamo alle parti del corpo femminili più intime e sensuali: si passa dalle labbra, con i Baci di dama (dolcetti piemontesi, composti da due calotte di pasta unite dal cioccolato che richiamano un labbro) e con i Baci di bella donna (un dessert arabo), al seno, con i Capezzoli di Venere (cioccolatini di origine veneta) e con le famose Tette delle monache (paste altamurane ripiene di crema, la cui forma ricorda un seno), al pube, con le intramontabili fragole al cioccolato. Ancora, il richiamo all’eros è forte anche per i Sospiri (o Dolce della sposa), paste glassate pugliesi. Numerosi, poi, i dessert dedicati a donne più o meno celebri: la Charlotte, l’Angelica, la torta Margherita, le Madeleines, la Pesca Melba, la Pavlova, le Pere bella Elena, le Crêpes Suzette, e molto altro.

Se vi state chiedendo cosa c’entri il dialetto con un discorso sulla pasticceria declinata al femminile, preparatevi a scoprire che esiste un legame fra alcuni dolci nocesi tipici del periodo natalizio e tutto ciò che si è detto sinora. Si è già visto che la Puglia è particolarmente creativa quando si tratta di associare pasticceria e donna, ma si è addirittura spinta oltre, con buona pace dei bacchettoni, mescidando sacro e profano.
A Natale, signori, gustiamo tutti un dessert che evoca una zona erogena femminile: la nostra “pettola”, dolce tondeggiante di pasta lievitata immerso nel vin cotto o nel miele, è a tutti gli effetti il “petto” delle donne. La traduzione di pèttela crèssciute potrebbe essere “seno florido, seno con abbondanza di latte”: in quanto tale, quindi, rimanderebbe ai riti propiziatori per le giovani donne in attesa di matrimonio o di maternità. A Noci, come in tutto il sud Italia, l’assenza di latte in una puerpera o il problema du pile a mmènne, ossia la mastite, erano una vera tragedia, cui si attribuivano significati simbolici. A proposito du pile a mmènne, è accertata in Salento la leggenda secondo cui «la donna dal seno gonfio di latte rischiava di destare l’attenzione del prossimo invidioso e la malevolenza di frati o santi – uno di questi era S. Serafino impermalito per il rifiuto dell’elemosina fatto a qualche suo frate. Derisi per la lunga barba, ne strappavano un pelo e malignamente lo introducevano nei condotti lattei interrompendone il flusso; solo dopo essere stati placati, lo rimuovevano».[1]

A rafforzare il parallelismo della pettola cresciuta con il seno interviene il significato più antico della parola. La pettola, oltre al dolce natalizio, è anche orlo di veste, camicia, mutanda. Un breve inciso: quest’ultima accezione evoca uno sfottò che in passato si rivolgeva ai ragazzini cui fuoriusciva un lembo di mutanda dai pantaloncini, “téne a pèttele ngule”.
Nel dialetto arcaico, poi, la pettola è anche la camicia estiva che copre il petto delle donne. Da petto, dunque, nasce il lemma pettola, a indicare la camiciola, e poi, in un processo che potremmo definire metonimia, con un trasferimento di significato la pettola passa a indicare la mammella – come peraltro riportato nel vocabolario del dialetto napoletano di Ferdinando Galiani del 1789.

Ci auguriamo che l’associazione non susciti imbarazzo, perché vi diremo di più. Anche i pèttele a nnócche, strisce di pasta frolla pizzicate al centro, a loro volta addolcite con cotto di fichi o miele, rievocano l’immagine dei seni di donna stretti nella camicia.
D’altronde a Natale, che si creda o meno, si celebra il miracolo della nascita, connesso al concetto di fecondità femminile, di cui questi deliziosi dolci sono il simbolo.

 

Angela Liuzzi

[1] Tullia Pasquali Coluzzi, Luisa Crescenzi, La nascita – Usi e riti in Campania e nel Salento, FEU, 2010, pag. 57

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