A fecazza fràcede, sintesi dell’eterno scontro fra Oriente e Occidente

NOCI – Si chiama fecazza fràcede ed è un dolce nocese tipico del periodo natalizio: la forma a mezzaluna in pasta frolla contiene all’interno un preparato di vincotto, noci, cannella. Resta piuttosto secco e non particolarmente dolce, caratteristiche che lo rendono un pasticcino unico nel suo genere. Forse qualcuno si è chiesto cosa si nasconda dietro il nome insolito e certamente non benevolo di “focaccia fracida”, senza tuttavia trovare una risposta esaustiva. Proveremo a ricostruire la storia del dolcetto, azzardando un parallelismo con un lievitato a mezzaluna ben più celebre del “fratello” nocese e con una pagina di storia che probabilmente ne ha determinato la creazione.

A fecazza fràcede potrebbe essere la sintesi dell’eterno scontro fra Oriente e Occidente. La sua forma ricorda il simbolo rappresentato sulla bandiera turca, il disegno della mezzaluna, che fu anche, con varie differenze, la bandiera dell’Impero ottomano.
Nel 1683 Vienna venne assediata dai turchi guidati dal Gran Visir Merzifonlu Kara Mustafa Pasha; dopo quarantacinque giorni, l’impero ottomano irruppe nella città, ormai in ginocchio. L’intervento delle truppe polacche, tuttavia, mise in crisi l’esercito turco, che si dette a una fuga rapida e disorganizzata. L’assedio dell’impero ottomano fu quindi miracolosamente respinto e per festeggiare la vittoria contro il nemico un pasticcere viennese s’inventò un nuovo dolce, il kipferl, ovverosia il cornetto. In altre parole, la viennoiserie che gustiamo ogni mattina al bar altro non è se non un richiamo tremendamente ironico alla mezzaluna turca, come a dire che i viennesi potevano papparsi il nemico sconfitto.
A questo punto, è legittimo chiedersi se c’è un collegamento fra il cornetto viennese e la pugliesissima fecazza fràcede. Proviamo a individuarlo.
L’enciclopedia Treccani ci informa che l’aggettivo “fracido” è una voce antica e regionale per “fradicio”, che significa “marcio, guasto, putrefatto”, ma anche “corrotto, guasto moralmente”. Ora, è vero che il termine sta anche per “assai bagnato, inzuppato d’acqua”, e che potrebbe riferirsi all’impasto interno del dolcetto, ma negare un riferimento ai turchi e ai loro costumi ritenuti dai viennesi “corrotti e immorali”, ovverosia “fracidi”, è difficile.
A nostro avviso è plausibile che, come tutte le tradizioni, anche il kipferl viennese abbia fatto un giro complesso, filologicamente irrintracciabile, fino a trasformarsi in fecazza fràcede nella lontana regione del Sud Italia, ove peraltro è attestata la presenza degli austriaci dal 1704 al 1734.

Non ce ne vogliano gli amici turchi, ma è curioso ricordare un’usanza legata a un’altra sonora sconfitta del loro esercito. Vi siete mai chiesti perché le campane suonano a mezzogiorno? L’origine della consuetudine è ancora più antica: nell’agosto del 1456, nel corso della battaglia di Belgrado, Papa Callisto III chiese di suonare ogni giorno alle 12 le campane perché i fedeli supplicassero Dio di liberarli dai nemici turchi. Le preghiere furono ascoltate. Il 6 agosto l’esercito del condottiero János Hunyadi, incoraggiate dal frate abruzzese San Giovanni da Capestrano, sconfissero i turchi. Da quel momento si decise di continuare a far suonare le campane a mezzogiorno in memoria della vittoria dell’esercito cristiano contro i nemici pagani.

 

Angela Liuzzi

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