Matteo Messina Denaro: l’inchiesta che coinvolse la BCC di Alberobello e Sammichele

“Mi chiamo Matteo Messina Denaro”, con queste parole, il capo di “Cosa Nostra”, si è consegnato al carabiniere del ROS, che gli ha chiesto chi fosse. Termina così una latitanza durata 30 anni, finita in manette alle ore 8:20, quando stava per cominciare una seduta di chemioterapia alla clinica privata La Maddalena di Palermo.

Il nome del super latitante è venuto fuori dalle cronache locali nel 2013, quando la Procura Nazionale Antimafia apriva un’inchiesta sulla Banca di Credito Cooperativo di Alberobello e Sammichele. Nel 2013 i magistrati nazionali antimafia, unitamente alle procure di Trapani e Bari, ipotizzavano che dalle casse della Bcc potevano essere transitati dei capitali mafiosi, in particolare quelli del clan trapanese dei Virga, nonché prestanome del boss catturato ieri, Matteo Messina Denaro.

Il caso ha origine quando la procura di Trapani sequestrò parte delle quote della società, con sede ad Alberobello, al socio Vito Tarantolo, poi condannato per favoreggiamento e destinatario di confisca di beni in quanto, secondo i giudici, riconducibile al clan trapanese dei Virga.
A tal punto da dover intervenire la Banca d’Italia, per il tramite di una attività ispettiva, che scopre una serie di irregolarità nella gestione della stessa, tanto da richiedere ed ottenere nel giugno 2013 il suo commissariamento.

A dicembre 2013, invece, scatta il sequestro della totalità delle quote della società con sede ad Alberobello, in quanto secondo gli inquirenti, la Banca avrebbe finanziato in modo irregolare la società alberobellese per l’acquisto del complesso di 15 ville a Trapani, c.d. complesso residenziale “il Melograno”. Un impianto accusatorio che fu, all’epoca, contestato da un socio di minoranza della società in questione, infatti presentò appello.

La Stampa, dando seguito all’inchiesta, pubblicava nel 2016 (https://www.lastampa.it/cronaca/2016/12/16/news/affari-mafia-imprese-tra-la-puglia-e-la-sicilia-sequestrato-un-patrimonio-da-25-milioni-di-euro-1.34757305/) la notizia di un ulteriore indagato, Giuseppe Ruggirello. Secondo la Procura antimafia, Ruggirello risultava vicinissimo all’imprenditore Vito Tarantolo, socio della società alberobellese. Per Ruggirello poi, scrive La Stampa “è arrivato il salto di qualità, imprese e banche, grazie a contatti che nel recente periodo era riuscito a stringere in Puglia, grazie alla complicità di un componente del Cda della banca di Alberobello. L’operazione che a Ruggirello riuscì fu quella di rimettere le mani su un appezzamento già sequestrato a Cosa nostra, riuscendo a realizzare un residence”.
Corre l’obbligo, però, di notiziare che l’imprenditore Giuseppe Ruggirello non ha riportato alcuna condanna per associazione di stampo mafioso.

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