Zygmunt Kelz, l’ebreo “nocese” scampato alla Shoah: il racconto del figlio

NOCI – Il 27 gennaio l’umanità si ferma per ricordare la Shoah, lo sterminio del popolo ebraico ad opera della furia nazista. È una delle pagine più buie della nostra storia, il cui terribile ricordo è necessario che resista dinanzi ai nostri occhi in tutta la sua ferocia, come monito contro ogni forma di violenza. La riflessione globale coinvolge anche noi nocesi: la macrostoria si intreccia con la storia locale.

Dal 2009 il nostro paese ha una via intestata a Zygmunt Kelz, un ebreo “nocese” scampato alla Shoah.

Famiglia-Kelz1Zygmunt era un dentista, un marito e un padre quando nel 1939 le truppe tedesche invadono la Polonia, dove egli risiede. Fugge, iniziando un lungo viaggio che lo porterà sino in Palestina, dove si arruola nella brigata “Fucilieri dei Carpazi”. Nel luglio del 1943 è promosso sottotenente medico e inquadrato nel 2° Corpo d’Armata polacco, che si sposta dapprima ad Alessandria d’Egitto e poi da qui a Taranto. Da Taranto Kelz arriverà a Noci, dopo aver ormai perso le tracce di tutta la sua famiglia paterna, della moglie e del figlio. Nel nostro paese prende servizio come dentista presso il Convalescenziario militare polacco allestito presso la scuola elementare “Francesco Positano” e conosce la maestra Dina De Caro che gli impartisce lezioni di italiano. I due si sposano con rito ebraico ad Ancona e con rito civile a Putignano nel 1946. Per le leggi dell’epoca, il matrimonio determina per la moglie la perdita sia della cittadinanza italiana sia del ruolo di insegnante. Per risolvere la questione, l’impiegato a riposo del Comune di Noci, Pietro Romanazzi, adotta Zygmunt che cambia il proprio nome in Sigismondo Kelz-Romanazzi. Egli può così frequentare la Facoltà di Medicina di Bari e nel 1952 si laurea. Nello stesso anno si celebra il matrimonio tra Zygmunt e Dina con rito religioso, nella Chiesa dei Cappuccini, dalla cui unione nasce Bernardo.

Bernardo Kelz insieme a José Mottola ha pubblicato la storia di suo padre in “Dai Carpazi alle Murge: odissea di Zygmunt Kelz scampato alla Shoah”, edita dalla Bastogi di Foggia nel 2008, con prefazione del professor Francesco Lucrezi dell’Università degli Studi di Teramo.

Oggi, Bernardo Kelz ha ricostruito insieme a noi il profilo di suo padre, al quale il genocidio nazista ha sottratto tutto.

 

Suo padre è stata una vittima indiretta della Shoah: è riuscito a fuggire ma che ha vissuto il dramma della perdita di tutta la sua famiglia…

Sì, mio padre ha visto scomparire tutto quello che aveva lasciato in Polonia. Lui era soldato andato al fronte, ha combattuto in 10 eserciti, ha rischiato la vita tutti i giorni, ha perso completamente la sua famiglia.

Dalla Polonia a Noci: qual è il legame di suo padre con il nostro paese?

Venne in Italia per combattere per la liberazione d’Italia, completamente solo. Arrivato a Noci ha conosciuto Dina De Caro, una nocese, maestra elementare, che impartiva lezioni di italiano, divenuta mia madre.

Come suo padre gli ha raccontato di quegli anni crudeli, di quel dolore immane che ha segnato la sua esistenza?

Mio padre mi raccontava solo pochi flash della vita in Polonia. Io capii che non aveva la forza di raccontarmi tutto. Ho memorizzato tutti questi piccoli episodi, raccolti nel corso di una vita e mia madre mi ha aiutato a farlo. La ricostruzione è divenuta oggetto del libro scritto con il nocese José Mottola, che ha inserito la vicenda di mio padre nel contesto della macrostoria.

Una macrostoria disumana, che non possiamo e non dobbiamo dimenticare, perché come asserito da Liliana Segre, superstite dell’Olocausto: “l’indifferenza è più colpevole della violenza stessa. È l’apatia morale di chi si volta dall’altra parte: succede anche oggi verso il razzismo e altri orrori del mondo. La memoria vale proprio come vaccino contro l’indifferenza”.

 

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