Sergio Marchionne: tanto amato, tanto odiato

NOCI – Della scomparsa inaspettata ed improvvisa di Sergio Marchionne, complice il web, si è impossessato la psiche collettiva, proiettando ammirazione o insulti, che tra qualche giorno si dissolveranno per essere rimpiazzati da altro. Noi vogliamo invece tracciare un brevissimo profilo del personaggio, cercando di restare neutrali e portando rispetto, tanto alla persona quanto al professionista.

Sebbene la figura di Sergio Marchionne si apra a molteplici sfaccettature narrative, tutte affascinanti (l’emigrante figlio di persone comuni, la sua prospettiva e visione globale, il suo carattere “tough”), noi vogliamo ricordarlo solo sotto l’aspetto manageriale. Cosa ha da insegnare Marchionne ai nostri imprenditori? Al netto di opinioni e preferenze personali, la realtà aziendale guarda essenzialmente ai numeri. E questi dicono che Sergio Marchionne ha preso in mano una azienda vicina al fallimento, l’ha sanata, l’ha resa globale ed ha più che triplicato il suo fatturato. Lo sanno benissimo i mercati, che il giorno dopo la sua scomparsa hanno aperto le quotazioni di FCA con meno quindici punti percentuali. Se oggi molti stabilimenti italiani, con decine di migliaia di impiegati, sono ancora produttivi ed assicurano posti di lavoro, il merito è soprattutto di Marchionne.

Marchionne, con due lauree e varie specializzazioni di altissimo profilo, ha lavorato in società di consulenza di rilievo internazionale, era forte di una cultura multietnica e globale. Il salvataggio di Fiat e tutte le sue scelte manageriali sono state possibili grazie alla sua visione, alla sua cultura, nel rispetto dei vincoli e delle opportunità che il mondo globale mette a disposizione. Alcune rivendicazioni che i sindacalisti o i filocomunisti oggi fanno andrebbero rivolte più correttamente alla politica, piuttosto che al manager.

Sergio Marchionne ha rivestito efficacemente il suo ruolo di leader tosto, che tirava dritto per la sua strada. Si sceglieva la squadra, imponeva i suoi valori e puntava dritto verso l’obiettivo. Molto essenziale, freddo e razionale. Il “miracolo” Fiat – possiamo chiamarlo anche così – è merito però solo in parte di Marchionne. Infatti ogni volta che un leader sale al comando, il presupposto è che ci sia un gruppo disposto a cedere potere. Bisogna dare i meriti a Marchionne, ma ricordare anche che il contesto di crisi lo rendeva necessario e che anche al giovane John Elkann, come lui, aveva un profilo culturale di un certo tipo ed aperto al cambiamento.

Che insegnamento lascia Marchionne al management italiano? Globalità, imprevedibilità, determinazione e lavoro duro. Alle aziende tradizionali, soprattutto nel meridione, la visione del mercato globale rimane spesso sul piano della fantasia infantile. Vorrebbero, ma bisogna attrezzarsi di conoscenza adeguata per sfruttare tutte le leve globali oggi a disposizione: nuovi mercati, diverse legislazioni e tassazioni vantaggiose. Difronte a inefficienze e disorganizzazione, difronte a visioni tradizionali stagnanti, dove gli impiegati storici non si toccano e le cose si fanno così perché sempre si sono fatte così, Marchionne ci metterebbe due secondi a ribaltare il tavolo, senza indugi. Ma devi saperlo fare se vuoi avere risultati. Ed i risultati dicono che questo manager italiano, formatosi all’estero, preparato e lavoratore instancabile, lo sapeva fare. L’Italia ha perso molte aziende storiche, al contrario, FCA è uno dei pochi marchi italiani che ha saputo espandersi all’estero, grazie anche all’orgoglio di Sergio e alla voglia di uscire da un provincialismo limitante. Ringraziamo questo manager, più o meno simpatico, e prendiamo il meglio da lui, perché nessuno è perfetto. Salutiamo l’uomo con il rispetto che merita chi si separa dalla vita e dai suoi cari.

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