La generazione delle maschere?

NOCI – Si è spesso dibattuto, soprattutto negli ultimi anni, su quale sia la generazione “migliore”: c’è chi mette a confronto gli anni ’90, quando la Rowling ha dato vita al primissimo personaggio di Harry Potter e quando Sailor Moon ha fatto la sua prima apparizione sullo schermo europeo, contro la nuova generazione, i cui riferimenti testuali sono banali ed i nuovi cartoni, i nuovi mass media mettono in evidenza valori ed esperienze di dubbia validità. Non essendo in grado di stabilire quale generazione sia più “degna” di stima, l’attenzione si è subito spostata sulle differenze e sui paragoni sociali, educativi e comportamentali, si è puntato il dito sui genitori troppo permissivi, poco autorevoli, poco attenti.

Si ritiene che questa sia la generazione dei “bulli”, dei ragazzi senza paura che cercano di comportarsi da duri per avere consenso e rispetto dai loro coetanei e dagli adulti, ragazzi che la generazione precedente ritiene  “sciocchi”, indolenti, vuoti. Questi ragazzi sembrano essere attratti per lo più dal pericolo e dal nuovo a tutti i costi, questi ragazzi, noi, ci sentiamo, a volte, persi. Che fine hanno fatto quei ragazzini che per divertirsi si incontravano al parco per giocare a pallone? Dove è andato a finire il loro rispetto per i genitori e per il prossimo? Ragazzi che diventavano grandi piano, cercando se stessi attraverso piccole e grandi verità, piccole e grandi ideologie? Bene, è ancora tutto lì. I bambini non sono cambiati, lo è solo la tecnologia e la storia. Per quanto possa sembrare assurdo o irreale per coloro che hanno vissuto una generazione diversa, i bambini e gli adolescenti di oggi non hanno perso nulla rispetto a quelli del secolo scorso, ma hanno solo “nascosto” alcuni degli interessi ritenuti banali che secondo loro li rendono poco interessanti. Io la chiamo “la generazione delle maschere”. Se penso ai ragazzini che mi stanno intorno, vedo solo maschere e tanta, tanta voglia di apparire ma, soprattutto, di emergere per quello che non sono, che non “sentono” realmente.

E’ troppo facile fare il duro con chi non sa difendersi e lo è altrettanto crearsi un guscio di pura sufficienza e menzogna perché, si, i ragazzi di oggi, me compresa, vivono nella menzogna. Non ci apriamo con le persone, ci vergogniamo di ciò che siamo e di ciò che vorremmo diventare, giudichiamo e siamo giudicati. Ma c’è stato un momento, nella mia vita scolastica, in cui ho avuto la possibilità di aprirmi e di confrontarmi con gli altri e, spero, che chi leggerà deciderà di farlo a sua volta. Ho sempre ritenuto la scuola piuttosto utile, non solo dal punto di vista educativo, ma  anche per la crescita  affettivo-relazionale.

Gli insegnanti, che ci crediate o no, ci sono, spesso siamo noi a tenerli fuori o al corrente dei nostri problemi, spesso e volentieri per poter venir meno ai nostri doveri. Nella settimana della sospensione didattica nel nostro Liceo delle Scienze Umane, è stata la prof.ssa Galiani, la prof. di Scienze Umane a chiedermi, a chiedere a tutti noi, cosa provassimo, da cosa volessimo partire per avviare un progetto. Ci ha guidato a individuare quali fossero i nostri punti di forza e di debolezza, ci ha proposto una riflessione personale e di consapevolezza sul nostro cammino esistenziale affinchè le tematiche disciplinari si intersecassero nella e con la nostra vita. Ci siamo divisi in gruppi e abbiamo aperto mente e cuore alle nostre paure, a ciò che ci impedisce di essere pienamente, spesso commuovendoci. I  gruppi si sono creati da soli, in sintonia con il tema prescelto, con chi si riconosceva in quel percorso. Alcune tra noi hanno scelto di lavorare da sole, una mia compagna ha scelto la Libertà, questo il suo tema. Sono rimasta affascinata dal modo in cui la sua maschera si sia lasciata scalfire, sono emerse  emozioni, creatività e volontà e ho apprezzato il suo voler renderci partecipi di un mondo a noi completamente estraneo. Ha reso evidente il suo vissuto  attraverso un  cartellone. Semplice e complesso al tempo stesso, di colore nero, un’opera d’arte piena di significato ed ispirazione perché si, anche i colori fanno la loro parte. Se ci fermiamo a riflettere, alle nostre emozioni più forti corrisponde un colore: verde d’invidia, rosso di gelosia, nero di tristezza e dolore, ma per la solitudine? Per lei non c’è un colore, ma coloro che hanno trattato questo tema sono comunque stati bravissimi a trasmettere ciò che provavano anche attraverso l’aiuto del monologo tenuto da Sabrina Benaim sulla depressione. “Mamma ancora non capisce ma, mamma, non vedi che non ci riesco nemmeno io a farlo?” diceva. Ed è esattamente ciò che penso anche io. Ognuno dei temi: l’abbandono, il conflitto e gli abusi, l’isolamento e la chiusura, l’autostima e il confronto, l’ho sentito, l’ho fatto mio, mi ha permesso di ascoltarmi, mi ha permesso di conoscere le mie compagne, il perchè della loro timidezza, del loro silenzio, della loro aggressività, mi ha permesso di dare un senso più ampio, più profondo a questi temi che sono più delle parole scritte, molto più delle teorie e degli esperimenti, sono i nostri vissuti che poi loro ci spiegano……Molte persone fanno ricadere la responsabilità sui genitori e le loro assenze per giustificare le loro azioni e problemi e, anche se in piccola parte è così, come possiamo pretendere che loro capiscano se nemmeno noi riusciamo a capire noi stessi? Questo è quello che mi ha spinto a battezzare questa generazione come la generazione delle maschere: le maschere non ci permettono di guardare e di essere guardati, per questo ci sentiamo incompresi. Se non facciamo chiarezza con e in noi stessi, come possiamo lasciar entrare qualcun altro nella nostra testa? A questo proposito, ho amato una citazione che alcune mie compagne hanno scritto sulla lavagnetta della mia classe: “Pietra su pietra si alza un muro, muro su muro si arriva al castello”. Il loro tema era  “Le maschere”.

Forse il momento che ho più amato in questa piccola settimana di sospensione didattica è stato quando proprio queste mie compagne hanno abbattuto i nostri muri. Nel vero senso della parola, hanno portato a scuola delle pietre e, dopo aver lasciato che su ognuna di essa scrivessimo la nostra più grande paura o difficoltà e che poi le sovrapponessimo una sopra l’altra, con un colpo secco della mano questo piccolo muretto è crollato, permettendo che i miei, i nostri muri si frantumassero, la mia maschera completamente distrutta, il mio cuore un po’ più leggero e il pavimento dell’aula un po’ più ammaccato.

La scuola può diventare esperienza.

L’aula può diventare laboratorio.

La nostra crescita olistica.

La riflessione, una nuova consapevolezza.

L’esplorazione una ricerca di sé e di senso.

La condivisione un arricchimento.

Grazie alla Prof, grazie alla nostra scuola, grazie ai miei compagni di viaggio.

 

Redazione di Istituto – IIS “Da Vinci – Galilei”

Chielli Marianicla

 

4° A  Liceo Scienze Umane 2016-2017

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