Il partigiano nocese Francesco D’Onghia che perse la vita per la libertà

NOCI – La lotta di liberazione dal nazifascismo ha visto protagonisti in prima linea numerosi pugliesi. Come più volte e in più sedi ricordato dal professor Vito Antonio Leuzzi, presidente dell’Istituto pugliese per la storia dell’antifascismo e dell’Italia contemporanea, la Puglia, subito dopo la Sicilia, è stata la regione del Sud con il maggior numero di partigiani caduti in combattimento, fucilati e deportati. Anche Noci ha dato i natali ad alcuni partigiani. Tra questi ricordiamo Giuseppe Rotolo (nato nel 1884, nome di battaglia Nonno Peppino), Vittorio Vito Clemente (1911), Vito Michele Recchia (1914, Secondo), Vito Roberto (1915, Mario I), Domenico Fatalino (1920, Spina), Giovanni Silvestri (1924, Parabellum) e Francesco D’Onghia.

A quest’ultimo dal 31 luglio 1984 è intestata una strada nell’abitato di Noci, nonostante all’epoca si avessero solo frammentarie e imprecise notizie circa la drammatica vicenda dello sfortunato nocese. Grazie a recenti ricerche effettuate anche da una pronipote, Marica D’Aprile, sono ora disponibili maggiori notizie sul nostro sfortunato e valoroso concittadino.

Francesco D’Onghia nasce a Noci da Domenico e Anna Pugliese. Contrae matrimonio il 15/11/1942 nella chiesa di S. Maria Assunta di Valsinni (Matera) con la diciannovenne casalinga valsinnese Rosa Montemurro. Francesco sembra avviato, come tanti coetanei, a una vita di lavoro e sacrifici per mantenere la sua famiglia con il duro e onesto lavoro di contadino, come riportato in alcuni documenti, e/o di carbonaio, come dichiarato nell’atto di matrimonio. Durante il secondo conflitto mondiale viene però chiamato alle armi. Al momento del proclama dell’armistizio dell’8 settembre 1943 egli è in servizio nella 2. Compagnia di Sanità presso l’ospedale militare di Alessandria.

Il giovane Francesco, approfittando dello sbandamento generale, potrebbe abbandonare le armi e tornarsene a casa, come fa la maggior parte dei soldati, oppure aderire all’Esercito nazionale repubblicano; invece, per un’innata aspirazione alla libertà, preferisce avvicinarsi alle prime spontanee formazioni partigiane, nelle quali assume il nome di battaglia di “Franz”, e prendere parte attiva alla Resistenza e alla lotta di liberazione.

È documentato che dal 18/6/1944 alla morte presta servizio effettivo come partigiano combattente nel III battaglione della IV brigata “E. Guarrini” della II divisione d’assalto Garibaldi “F. Cascione”. Il 24/1/1945 durante uno scontro con i nazi-fascisti è catturato presso Pompeiana (Imperia) e sottoposto invano a torture perché fornisca informazioni sui suoi compagni garibaldini. In precedenza era stato gravemente ferito, presumibilmente in uno scontro con il nemico, tanto che gli era stata amputata la mano o parte del braccio sinistro.

In un documento conservato nel fascicolo personale presso l’Archivio storico della resistenza e dell’età contemporanea per la provincia di Imperia, risulta che egli sarebbe stato fucilato il 12/2/1945 a Villa Junia, presso Sanremo, e che “era privo di una mano. Così gli aguzzini gli strapparono i vestiti finché il moncherino non fosse scoperto e su quel moncherino inferirono con una frusta”.

In altri documenti e nell’atto di morte del 30/9/1954 della Commissione interministeriale per la formazione di atti di morte e di nascita non redatti o andati smarriti e distrutti per eventi bellici, trascritto presso il Comune di Valsinni, Francesco D’Onghia risulta deceduto il 2/3/1945 a Sanremo (Imperia) fucilato dai nazi-fascisti.

Il comando del terzo battaglione della brigata “E. Guarrini”, appartenente al Corpo volontari della libertà aderenti al C.L.N., il 22/5/1945 da Taggia (Imperia) invia alla famiglia residente a Valsinni la seguente comunicazione:
“Spett/le Famiglia Donchio. È col più vivo rimpianto che dobbiamo annunciarVi che il caro Compagno FRANCESCO ci ha abbandonato quando già ci arrideva la vittoria. Ha appartenuto fin dai primi giorni del Giugno 1944 alle nostre formazioni ed ha dato prova di un’onestà e sagacia tali da essere stimato e amato da tutti i Superiori come un vero fratello. È caduto, colpito dal piombo del nemico nazi-fascista, dopo lunghi giorni di prigionia sopportati con uno stoicismo tale che il nemico stesso dovette ammettere di aver giustiziato un Eroe. Il vile nazi-fascista non è riuscito a piegare la sua volontà ed egli, pur di fronte alla morte, seppe conservare, dignitoso e sprezzante, la calma dei forti. Tutti i Garibaldini del III° Battaglione rimangono a Voi uniti nel dolore e nel proposito di vendicare il Compagno gloriosamente Caduto per un Ideale di GIUSTIZIA E LIBERTÀ. Il Commissario (Cap. Mirkov), Il Comandante (Cap. Veloce)”.

Purtroppo Francesco D’Onghia non ha una tomba. I suoi anonimi resti mortali riposano in pace in qualche sepoltura comune, molto probabilmente nell’ossario del Sacrario dei Caduti partigiani del cimitero di Valle Armea in Sanremo, dove a cura della sezione sanremese dell’A.N.P.I., il suo nome è stato aggiunto in calce ai nominativi già esistenti.

Il nome Francesco Donchio è riportato anche, con altri 5 partigiani, su una lapide in un’edicola situata in Corso Inglesi presso Villa Junia a Sanremo “A perenne ricordo dei garibaldini […] / che al sacro ideale della libertà / immolarono le loro vite generose / vittime del furore nazifascista / Sanremo / volle eternare nel marmo / i loro nomi gloriosi”.

25-aprile

 

Giuseppe Basile


(fonte: Gazzetta del Mezzogiorno del 25 aprile 2020)

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