Un modello vincente

A tutti noi, navigando sui social, sarà capitato qualche post che ci vuole insegnare come essere vincenti. Io diffido molto da questi guru. Non perché dicano cose sbagliate, ma perché essere vincenti implica cose visibili e cose invisibili. Spesso sono più le cose invisibili a determinare il successo.

Oggi il tennista Novak Djokovic, a 35 anni, ha vinto il suo decimo titolo agli Australian Open, che gli vale il 93° titolo ed il 22° slam. E ritorna N° 1 in classifica. Questo ragazzo ha stracciato tutti i record e si è imposto su due mostri sacri: Federer e Nadal. Oggi abbiamo visto Novak piangere come un bambino. E allora ho pensato che è impossibile ridurre a modello o ricetta vincente una serie di combinazioni. Ma voglio parlarne.

Novak Djokovic è il giocatore più completo di tutti, atleticamente e tecnicamente. È forte al servizio, ma è anche il miglior risponditore. È forte di dritto e di rovescio. È forte tatticamente e su ogni superficie. I titoli vinti ed i record infranti basterebbero a silenziare la disputa si chi sia il GOAT, cioè il più grande tennista di tutti i tempi.

Eppure Djokovic non piace ai follower di Federer. Chiaramente nessuno ha tutte le qualità. Federer non ha la mobilità e la freddezza del serbo. Djokovic ha delle qualità umane che meriterebbero migliori apprezzamenti. È serbo, da bambino ha vissuto le atrocità della guerra. Ha una tempra forte. È volitivo, è ambizioso. Eppure molti condannano la sua voglia di primeggiare. E invece si potrebbe prendere spunto.

Negli anni Djokovic ha curato l’alimentazione, l’allenamento, ha mutuato tecniche da altre discipline, ha innovato, si è migliorato, ha alzato l’asticella nel gioco del tennis. Ma ha portato nel circuito anche la sua personalità e le sue debolezze. Ma soprattutto l’emotività. Le emozioni.

Cosa erano oggi le lacrime di Djokovic se non emozioni? Cosa erano le lacrime nella finale US Open persa con Medvedev se non emozioni? Cosa erano le reazioni scomposte, per cui è stato penalizzato, allo US Open? Questo ragazzo porta in campo la professionalità, il rispetto per l’avversario, la ferocia in partita, l’affetto per il pubblico. Ma soprattutto la capacità di essere lucido e concentrato e allo stesso tempo emozioni e motivazioni. Senza nascondersi. Federer è elegante, è per gli esteti del calcio. Ma emozioni?

Djokovic l’anno scorso è stato autorizzato ad entrare in Australia, poi bloccato, poi detenuto, poi espulso per una scelta personale sui vaccini. A sua insaputa lo hanno fatto diventare un mostro e leader dei novax. È stato trattato come un delinquente da una nazione in cui per nove anni ha vinto un trofeo e dato spettacolo. Quest’anno è ritornato. Ha giocato un tennis strepitoso. Lo ha fatto con l’esperienza, col fisico, con la tecnica. Ma soprattutto con un connubio unico, che manca agli altri tennisti: il dialogo tra testa e cuore.

Noi tifosi spesso siamo ingrati e ciechi. Giudichiamo a simpatia e non sappiamo riconoscere la grandezza di chi vuole fortemente qualcosa e la raggiunge con mezzi leciti, il suo talento, la sua personalità. Che male c’è volere l’affetto del pubblico, se Djokovic per primo da affetto al pubblico. Durante il Covid, senza pensarci, ha donato milioni di euro, anche all’Italia. Un campione lo è prima nel cuore, poi nella testa, poi in tutto il resto. Novak Djokovic parla undici lingue. In ogni nazione che lo ospita cerca di parlare la lingua del luogo, o almeno qualche dialogo basilare. Talento, educazione ed umiltà connotano questo ragazzo, che ama l’Italia. Dovremmo imparare tutti da lui e dovremmo portargli più rispetto.

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