A poco tempo dalla scomparsa del compianto Rocco Recchia e dopo la ribalta nazionale, Legginoci ha intervistato Rossella Recchia, che ha risposto a cuore aperto alle nostre domande.
Rossella, oggi conduci la storica attività di famiglia, ma prima hai fatto esperienza professionale a Nord, come tanti giovani pugliesi. Come è vivere a Nord? Cosa dà e cosa toglie il Nord?
Nord e sud. Le parole si sprecano in un dibattito vecchio quanto la “notte dei tempi”. I ragazzi vanno via dal sud proiettati in una carriera lavorativa appagante e, perché no, avere più opportunità da tutti i punti di vista. Personalmente mi piaceva la bella vita a Milano così come adoro la tranquillità del paese.
Se avessi la possibilità di aprire la mia Bottega lì, non mi dispiacerebbe affatto soprattutto per la certezza di essere più apprezzata. Senza dubbio la lontananza si deve sempre confrontare con la mancanza dei propri affetti e con il lasciar andare un po’ la propria comfort zone. Io penso che ognuno di noi costruisce I proprio percorso in base alla propria personalità, al proprio background e quello che aspira.
Prima di condurre l’attività di famiglia hai fatto pratica lavorando al fianco di tuo papà, Rocco, simbolo positivo di dedizione e laboriosità nocese. Come era il tuo rapporto lavorativo con Rocco? Cosa ti ha insegnato di pratico e cosa di intangibile?
Quando tuo padre è anche il tuo datore di lavoro il rischio di sottovalutare i ruoli è facile, ma ciò che mi caratterizza come persona è il rispetto. È proprio così che ho affrontato questi anni di collaborazione: con rispetto e ammirazione verso il mio maestro.
Al contempo la libertà di poter esprimere le mie idee con più leggerezza, ci ha portato spesso a scontri… a volte costruttivi altre volte distruttivi. Mi è capitato di andar via dalla Bottega “sbattendo” la porta.
Poi, quando nel 2020 mio padre si è ammalato, ho capito che quella mia scelta di affiancarlo non solo fosse giusta ma che, in qualche modo, qualcuno da lassù mi avesse guidato. Sono stata il suo braccio destro nelle mansioni più faticose ed è stato un dare/avere che ha portato il nostro rapporto ad un livello simbiotico.
Della realizzazione della calzatura mi ha insegnato tutto, ora il mio compito è migliorarne la qualità e rendere il marchio riconosciuto. Mi ha, inoltre, trasmesso tanti altri valori, come la passione per il lavoro a tal punto da non fermarsi mai anche quando il dolore era talmente forte da non riuscire a camminare. Ma anche la forza di non fare mai il passo più lungo della gamba e di prendere decisioni con calma e valutando ogni aspetto. E poi l’umiltà di non sentirsi mai arrivato, la generosità e la forza di sorridere sempre e la capacità di accogliere tutti in negozio in egual modo con un’empatia che verrà sempre ricordata.
Cento sessantasei anni di storia e ora con te altri capitoli da scrivere. Qual è l’anima dell’impresa di famiglia? Quali sono i valori, i sentimenti, i tratti distintivi? E tu come ti rapporti a questa anima?
Avere la responsabilità di portare avanti l’azienda e di farlo bene è, forse, l’unica preoccupazione che ho. Non mi spaventa il duro lavoro. Essere “figli d’arte” è una doppia sfida: devi dimostrare di valere almeno quanto le generazioni passate e portare innovazione all’altezza delle aspettative.
La famiglia Recchia è sempre stata simbolo di unione. Basti pensare che la mia sarta (orlatrice) è mia zia, che ha iniziato a cucire da piccolissima e tutt’ora è il mio riferimento indispensabile. Quando ho tagliato il mio primo paio di tomaie mi ha detto: “sei precisa come il nonno!”. Per me è stata una grande soddisfazione perché da piccola lo ammiravo dietro il suo bancone, così distinto e ordinato.
L’anima di questa realtà familiare è l’onestà, valore che porterò sempre nel mio lavoro.
Come traghetterai la tua impresa nel nuovo mercato, sempre più digitale, tecnologico, competitivo? E come risponde al momento il mercato alla tua proposta?
Il primo step, dopo aver ristrutturato un minimo la Bottega e creato la mia personale collezione, è realizzare un e-commerce. Abbiamo già numerosi clienti in tutto il mondo ma è giusto agevolare la vendita e dare la possibilità di personalizzare il proprio acquisto anche online.
Un’ingegnera calzolaia in Italia tuttora fa notizia e ti ha portato alla ribalta mediatica nazionale. Che effetto ti fa? A cosa ti fa pensare?
Ricevere telefonate e richieste da RAI e Mediaset non capita tutti i giorni e sono ancora sorpresa dell’interesse verso la mia storia. Sono una ragazza molto timida e la telecamera mi imbarazza, e se ho accettato è solo per dare un riconoscimento alla mia famiglia che per anni ha fatto questo mestiere senza ricevere i giusti riconoscimenti. Partendo dal basso ho già in mente il percorso da fare per rendere Bottega Recchia un marchio riconosciuto.
Ai tanti professionisti che vorrebbero tornare a Sud a vivere e lavorare, cosa ti senti di dire e che consigli daresti sulla base del tuo vissuto?
Tornare al Sud significa sentire il richiamo degli affetti e della propria terra. Ci sono tanti settori in cui poter investire che sono i nostri punti di forza: artigianato, agro-alimentare e turismo. Il mio consiglio è quello di inseguire il proprio sogno, vale sempre la pena di provarci.
Adesso tutto è in divenire per te, a cosa diresti “perché no” se ti capitasse?
Ci sono diverse cose a cui direi “perché no!”. La prima è la possibilità di collaborare con qualche brand di lusso interessato ai miei articoli o al mio know-how.
L’altra è avere un socio con cui poter crescere. Non ti nego che fare tutto da sola è mentalmente pesante più che fisicamente. Alleggerendomi di qualche responsabilità potrei concentrarmi di più sulla produzione e sui progetti che ho in mente.