NOCI – Riceviamo e pubblichiamo contributo letterario da parte del dott. Piergiuseppe Gabriele:
L’inizio della primavera suscita in noi il desiderio di gioia e libertà che sentiamo di condividere con chiunque insieme alla natura che si risveglia. L’inverno, si sa, è un periodo lungo di freddo e privazione del fulgido riflesso del sole, anche se è una stagione di preparazione all’evento di un nuovo corso per l’umanità.
Insomma, anche se l’inverno non si manifesta nel suo splendore, negli strati più profondi della terra inizia a prepararsi una vita brulicante, una forma di gestazione della nuova vita che verrà. Perciò godiamo dei frutti della stagione grazie anche a questo lungo e, a volte, malinconico periodo invernale.
Sappiamo benissimo che le stagioni hanno in sé un eterno ritorno, un ricongiungersi ciclico che manifesta tutta la sua magia. La primavera, quindi, non è una semplice stagione ma è addirittura un tempo del calendario che le società antiche hanno saputo popolare con miti e storie riferenti proprio all’origine e alla simbologia di tale fecondità naturale. Presso i greci, e poi anche nella società romana, si raccontava di Proserpina, figlia di Demetra, che era stata rapita da Ade, re degli inferi, il quale la scelse come sua sposa e regina del regno dell’oltretomba. Il mondo intero, che viveva in una perenne primavera, ne risentì così fortemente che piombò in un grigio inverno.
Demetra alla fine trovò l’accordo con Ade; questo accordo con il re degli inferi sancì che la giovane avrebbe trascorso sei mesi sulla terra e sei mesi negli inferi. Da questo momento in poi ci si abituò a considerare che i sei mesi di primavera ed estate Proserpina fosse sulla terra (natura che risorge), i restanti sei che comprendono autunno e inverno nel regno di Ade.
Pertanto l’arrivo della primavera veniva visto dagli antichi come il ritorno splendente e rigoglioso di Proserpina con i suoi frutti. Con l’avvento del Cristianesimo, invece, assistiamo ad un processo di passaggio che si esprime con il termine Pasqua. Pasqua deriva dall’ebraico Pesach che significa passaggio, passare oltre. Proprio questo passaggio non è altro che il riferimento alla vittoria della vita sulla morte, ma anche, liberazione dalla schiavitù dell’Egitto, come è ampiamente spiegato nel libro dell’Esodo. Notiamo allora come, sia a partire dall’antichità che dall’era cristiana, ci sia stato sempre questo ruolo santificatore, quasi un moto di giustizia e di riscatto incarnato dalla primavera e dalle sue tradizioni.
Questo è infatti quello che cerchiamo nelle situazioni avverse: la libertà, o meglio, la rinascita dopo un periodo di morte e schiavitù. Dal significato di vittoria e resurrezione della Pasqua possiamo anche guardare più largamente al ruolo artistico che la primavera “gioca” nell’arte pittorica. Un esempio di eminente celebrità è quello della “Primavera di Botticelli”. Nel famoso dipinto rinascimentale troviamo molti personaggi che affollano un prato fiorito, questi sono: Venere (al centro), Zefiro, Clori (poi trasformata in Flora), Cupido, Mercurio e le tre Grazie.
Notiamo come il richiamo a Venere sia quello dei sentimenti che rifioriscono con la natura, il giardino delle Esperidi è il classico Locus amoenus della fertilità amorosa e naturale, Mercurio con il suo caduceo scaccia le nubi per preservare la primavera, e poi, le tre Grazie simbolo collegato all’armonia del mondo e alla soavità del momento topico. Cupido, per concludere, possiamo dire che è il garante di questo equilibrio con le sue frecce che colpiscono colui o colei che veramente vuole amare. Un riferimento in merito al tema della primavera potrei farlo con molti autori della letteratura ma citerò quelli più conosciuti.
Mi viene in mente Dante con la poesia “Guido ì vorrei che tu Lapo ed io”, Guido Guinizzelli “Al cor gentil rempaira sempre amore”, e infine, Josue Carducci con “Alla regina d’Italia”. Il primo scrive nel suo sonetto il desiderio di perdersi piacevolmente nei ragionamenti d’amore accompagnati da una piccola navicella in un ameno corso d’acqua che rievoca evidentemente la bellezza primaverile. Guinizzelli parla dell’incontro con la persona amata e dell’amore che alberga nel cuore nobile e, che quest’ultimo, si posa come un passero sul verde (rif. al Locus amoenus) accompagnato da una luce che risveglia gli animi dal torpore.
Per ultimo Carducci, lontano dal genere dello Stilnovo, nella sua ode dedicata alla regina Margherita descrive una Bologna immersa nell’ atmosfera autunnale di novembre che sembra cambiare improvvisamente con la visita ufficiale della sovrana consorte. La regina, infatti, secondo il poeta, reca nell’umida città padana un lieto soffio di primavera che si accompagna al suo aspetto candido e gentile tanto da rendere grazioso e sensibile il cuore del Carducci segnato dal furore repubblicano.
Carducci scrive: “Fulgida e bionda ne l’adamantina luce del serto tu passi, e il popolo superbo di te si compiace qual di figlia che vada all’altare. Continuando sul medesimo componimento il Carducci esalta ancora di più l’aspetto della regina con un paragone lirico: “Come la bianca stella di Venere ne l’april novo surge da vertici […].
Ora, che il poeta volesse trovare attenzione attraverso questo complimento o meno non lo sappiamo, al contrario, ciò che a noi emerge con viva espressione poetica è che Josue Carducci abbia voluto cantare la bellezza della regina Margherita servendosi della similitudine più aulica, ovvero, quella della primavera che emerge come una nuova rosea Venere.
Detto ciò, godiamo del fascino della primavera che viene a sorprenderci e abbandoniamo ogni rammarico gioendo insieme.
Piergiuseppe Gabriele