“Venghino, signori, venghino”: la tappa nocese del prof. Dulcamara

NOCI – Sul finire dell’estate  nocese  2016,  è passata pressoché inosservata la visita di  un noto  narratore impegnato nello sbugiardare la storiografia scientifica  con controstorie  che attribuiscono tutte le colpe dell’arretratezza meridionale al complotto massonico internazionale che produsse l’unificazione italiana nel 1860-61: secondo lui, gli storici si sono inventati il Risorgimento e i movimenti liberali e democratici che dal  primo Ottocento  scossero l’Europa anche per la fondazione di nuovi Stati nazionali e costituzionali.

Il noto narratore, ormai all’altezza del Dulcamara donizettiano, ha presentato a Noci il suo ultimo elisir consolatorio: contiene le prove del genocidio commesso dai soldati stranieri (piemontesi, emiliani, lombardi…) ai danni della gente meridionale, decimata con 400.000 uccisioni dopo il 1861.

In verità, il novello Dulcamara aveva parlato di genocidio simile alla Shoah con un milione di morti in un best seller “terronista”, ma stavolta ha fatto uno sconto fermandosi a 400.000;  in  quel suo best seller,  poi, aveva compiuto la trasfigurazione della novantaquattrenne  Maria Izzo, morta nella sua casa incendiata con altri dodici civili durante la rappresaglia  di Pontelandolfo da parte dell’esercito italiano dopo l’eccidio di quaranta soldati nell’agosto del 1861: tanto era stato accertato dallo storico locale Davide F. Panella in base ai registri parrocchiali, ma nel best seller le vittime di Pontelandolfo e Casalduni sono diventate diverse centinaia, mentre la ultranonagenaria Maria Izzo  morta nell’incendio è diventata una bella ragazza, legata ad un albero e violentata a morte dai crudelissimi soldati italiani. Questo è dunque il metodo storico-scientifico del Dulcamara.

Ora, secondo lui, un ammanco demografico di 400.000 meridionali dopo l’unificazione nazionale italiana è la prova della feroce repressione delle insorgenze da parte delle forze dell’ordine italiane (si sa che demografi e statistici devono avere solide basi matematiche e algebriche, ma anche storiografiche e geografiche, che al Dulcamara non mancano, vista la sua lunga esperienza come direttore di rotocalchi).

Ma veniamo al dunque.  Gli studi demografici ottocenteschi spesso sono divergenti, stante la mancanza all’epoca di diversi strumenti e metodi moderni di rilevazione statistica.  Tuttavia, secondo stime più o meno pacifiche, nelle regioni meridionali continentali alla vigilia dell’Unità  vivevano poco più di 7 milioni di abitanti, sicché non è seria né decente la tesi “dulcamarina” di 400.000 “desaparecidos”  dopo il censimento nazionale del 1861: infatti, la comparazione tra popolazione registrata e quella effettivamente presente (inferiore di 400.000 unità)  non ha rilevanza pratica,  soprattutto perché dipende dalle migrazioni, anche temporanee; in realtà, l’emigrazione preesisteva all’Unità nelle forme tipiche dell’Antico Regime, vale a dire come migrazione temporanea di esercenti mestieri artigianali o di strada (tra gli esempi più noti del Sud, i calderai calabresi e  gli orsanti e musicanti dell’Alta Valle del Liri, usi  a trasferirsi all’estero con orsi e strumenti musicali, anche  lavorando  come braccianti e minatori, come evidenziano gli studi in materia di F.S. Nitti).

Tale differenza tra popolazione formalmente residente e popolazione di fatto presente aumentò nei decenni successivi all’Unità, a causa dell’aumento vertiginoso dell’emigrazione verso le Americhe, in una prima fase soprattutto dal Nord; inoltre, i flussi migratori erano anche interni e a doppio senso, sicché tra i 400.000 “desaparecidos” del Sud c’erano anche italiani provenienti da altre regioni e poi tornati a casa.

Ma l’importante, per il prof. Dulcamara, è cantare storie capaci di destare stupore e vittimismo tra il pubblico per rassicurarlo che nel Mezzogiorno la colpa di tutto quel che non va è stata sempre degli altri e mai delle classi dirigenti locali. E vendere come medicine le sue pozioni magiche al grido “Venghino, signori, venghino”.

José Mottola

 

(Foto: Teatro Duse – Bologna)

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