Altissimo tasso di suicidi a Noci: cosa non funziona nel nostro paese

NOCI – Riceviamo e pubblichiamo una considerazione della Psicologa dr.ssa Simona Intini, sugli ultimi accaduti a Noci:

“Coloro che decidono per il suicidio sono uomini che hanno perduto la loro immagine, che hanno incontrato uno specchio in frantumi, che non possono più riconoscersi in nulla.” – Ha scritto così Massimo Recalcati, il noto psicoanalista e saggista italiano quando ha analizzato sapientemente questo fenomeno così dilagante.

Si definisce “suicidio” l’atto autolesionistico attraverso cui una persona decide di togliersi la vita. Trattasi di un gesto estremo che trascina dietro di sé un carico di malessere consistente, un forte dolore mentale che conduce a pensare alla morte come l’unica soluzione possibile ad ogni problema.

Generalizzarne le cause appare sconveniente dopo che non etico nè utile poiché ciascuna persona è caratterizzata da una produzione mentale propria ed originale. Tuttavia conflitti familiari, difficoltà economiche e lavorative, presenza di malattie, senso di non appartenenza, convinzione di essere un peso per gli altri, vulnerabilità emotiva, scarsa capacità di problem solving e bassa autostima, si presentano come potenziali fattori volti a determinare la nascita di pensieri irrazionali.

La prevenzione dei suicidi è certamente possibile e dovrebbe puntare all’intervento sul disagio psicologico oltre che sulla creazione di opportunità pratiche: sportelli di ascolto, potenziamento delle reti territoriali, reinserimento della persona nel gruppo sociale, miglioria dei rapporti familiari, supporto economico.

Ed è in questa direzione che Noci dovrebbe andare.

È di questi giorni infatti la triste notizia che ha visto coinvolto un nostro giovanissimo compaesano. L’ennesima notizia. Assordante. Dolente. Così frastornante da finire nell’oblio come tutte le altre volte.

Negli ultimi anni, questo paese è balzato agli onori della cronaca per l’alta incidenza di decessi autoinflitti. Un’incidenza davvero troppo elevata tanto da dipingere uno scenario triste quanto curioso che chiede a gran voce una massiccia riflessione a livello micro e a livello macro sociale.

Siamo dinanzi ad una emergenza collettiva che non può sopportare più occhi chiusi ed orecchie tappate. Servono servizi competenti capaci di captare il disagio e di accoglierlo supportandolo. E serve empatia, tanta.

Questa vita ci ha insegnato che alla gente piacciono le maschere, preferibilmente sorridenti. Ci ha insegnato che il dolore va nascosto per non apparire sensibili. E ci ha insegnato pure a vivere egoisticamente, decantando bontà soltanto sui social network. Sì, perché in coppia o in gruppo, al bar o davanti ad una pizza, si preferisce essere di testa sullo smartphone piuttosto che dedicarsi allo scambio di vissuti ed emozioni.

Adesso l’urgenza vera sta nel far sì che la disponibilità all’ascolto e all’aiuto non sia solo una recita né una finta promessa. Perché abbiamo perso un altro concittadino e questo deve essere almeno servito a smuovere le coscienze.

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